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La famiglia e la sfida della convivenza


[Lo scritto che segue è frutto della trascrizione di una conferenza di Rossandro Klinjey, operata da una nostra amica che ha chiesto di non essere nominata, ma che ringraziamo ancora una volta!]

 

    Vivere in famiglia è una grande sfida. Allan Kardec (pedagogista e filosofo francese, fondatore e codificatore della dottrina spiritica), pone una domanda ne Il Libro degli Spiriti: “Cosa succederebbe al mondo se si verificasse la dissoluzione all’interno della famiglia?” La risposta è: “Avremmo una recrudescenza (aggravamento o riapertura di un male già in via di guarigione).” Possiamo anche dire che peggiorerebbe di molto l’egoismo nelle persone.

    Iniziamo a pensare alla nostra infanzia. Abbiamo avuto delle famiglie diverse da quelle che abbiamo oggi. Negli anni ‘60 il modello di famiglia classico era chiamato ‘patriarcale’, famiglie in cui il padre aveva l’autorità anche quando non c’era. La frase tipica di quel tempo era: “Quando arriverà papà, vedrai!”, e questo bastava per rimettere ordine in casa. Chi veramente aveva il comando, però, era la mamma, anche se spesso ricorreva alla figura del padre per dare maggiore autorità in famiglia. Questa famiglia aveva tante virtù e tanti difetti. Il matrimonio, in queste famiglie, il più delle volte andava avanti non per l’amore che ne stava alla base, ma perché uno dei coniugi era totalmente annullato (generalmente la donna) e sottomesso al potere esercitato dall’altro. In pratica, le donne venivano educate per sopportare un matrimonio in cui il loro posto era secondario. La famiglia era composta dal ‘dittatore’, che provvedeva al bene di tutti, dalla mamma che era come una volontaria dell’ONU nella relazione tra padre e figli e in quella tra i figli. Le relazione erano distaccate, nella famiglia regnavano la dittatura e l’ordine. Le persone sapevano cosa fare perché sapevano dove volevano arrivare.

    La nuova generazione è fatta di persone più indomabili, ossia non sottomesse come invece siamo stati noi quando eravamo figli. Ciò crea nella testa dei genitori un pensiero di questo tipo: NON SO COSA FARE CON QUESTO BAMBINO! La cosa è reciproca, anche il figlio non sa cosa fare con il proprio genitore: e noi pensiamo di non sapere cosa fare con i nostri genitori.

    Vediamo cosa è cambiato nella famiglia, per essere arrivati al punto in cui un genitore non sa più cosa fare con i propri figli. Negli anni ‘60 la famiglia era patriarcale (la foto tipica dell’epoca rappresentava il papà e la mamma seduti al centro, e i figli in ordine dal più grande al più piccolo in piedi, dietro ai genitori). Le foto erano molto serie perché sorridere era considerata cosa da scemi (al contrario oggi, se fai una foto senza sorridere, sei un depresso e farsi un selfie senza sorridere è da scemi). I cambiamenti sono iniziati nella Seconda Guerra, quando gli uomini andarono a combattere e le donne dovevano andare a lavorare: infatti, quando gli uomini tornarono a casa, le donne non vollero lasciare il lavoro. Avevano capito che potevano avere un’indipendenza economica, e questo dava loro la possibilità di non essere sottomesse in una relazione in cui spesso non c’era amore, ma solo tanta violenza. La donna era una figura passiva all’interno del nucleo familiare, incapace di ribellarsi o di avere opinioni contrastanti; oggi invece non è più così. Successivamente agli anni ‘60, con lo sviluppo della psicologia, della psicanalisi, dei traumi a carico dei bambini, si assiste a un’inversione di marcia: se negli anni ‘60 la figura principale all’interno della famiglia era rappresentata dai genitori, oggi i protagonisti diventano i figli: la famiglia inizia a vivere in funzione dei figli.

    Così si è venuta a creare l’‘infantocrazia’, quando si dà potere a chi non ha maturità.

    Nella famiglia del passato, i genitori non erano preoccupati del fatto che i figli li amassero o meno. Ricordate anche solo un momento in cui un vostro genitore vi abbia chiesto: “Amore, ma tu mi ami?”?! E avete visto invece come i genitori di oggi chiedano continuamente ai figli se li amano? Ricordo una volta in cui mio nonno mi diede i biglietti per andare a vedere il Carnevale; io avevo sedici anni e noi eravamo poveri. Mia mamma mi disse che non ci potevo andare, e io subito ribadii che ci sarei andato perché avevo i biglietti. Ella disse: “No, non ci vai perché sei minorenne, e chi decide per te sono io…” Io risposi: “Va bene, quando avrò diciott’anni ci andrò!” E lei ancora: “Vedremo, perché finché vivrai a casa mia comanderò io, gestirò tutto io!” Ed io allora: “Sei molto divertente, e tu vorresti essere amata?” Lei: “Ma chi ti ha detto che voglio essere amata?!”

    Io ci rimasi malissimo, sembravo il ‘Gatto con gli stivali’ con gli occhi tristi. “Mamma, tu non vuoi il mio amore?” E lei: “L’amore è una scelta e io ho scelto di amarti. Si tratta di una scelta adulta e matura, io ho scelto di amarti indipendentemente da come tu sia, io non ho bisogno del tuo amore ma pretendo il tuo rispetto, quindi non ci andrai oggi e non andrai fino a quando dipenderai da me. A casa mia vigono le mie regole”.

    Io ne sono uscito abbattuto, ho sbattuto la porta della camera da letto e sono stato per due giorni senza parlarle, ma non riuscivo più a continuare così, perché senza di lei io ero perso. Solo dopo aver studiato Psicologia, ho capito l’importanza di quel giorno nella mia vita.

    In verità l’amore è il più raffinato dei sentimenti umani, ed è acquisito grazie a fatti che lo precedono. Voglio dire che tu ami qualcuno solamente se ci sono delle condizioni. Considerato che l’amore è il più raffinato dei sentimenti, esigiamo una maturità che un bambino e un adolescente non hanno; se tuo figlio di tre anni ti dice che ti ama, non si può dire che sia già vero. Ti darà amore quando avrà consapevolezza, se ci saranno le condizioni giuste, e dipenderà soprattutto da te. Quando reincarniamo riceviamo tanti ‘talenti’, e senza dubbio il talento più importate sono i figli. L’unica cosa che Dio si aspetta da noi è che diamo ai nostri figli virtù, competenze, responsabilità. Perché tutto quello che non vogliamo sentirci dire da Dio è: “Figlio infedele, cosa hai fatto con il talento che ti ho dato?” Per amare, prima di tutto bisogna avere rispetto: io amo coloro che rispetto. Per amare bisogna avere ammirazione: io amo quelli che stimo. I genitori del passato non hanno mai avuto la preoccupazione di essere amati, ma esigevano rispetto,  ed ottenevano amore e rispetto. Oggi i genitori vogliono essere amati ma non si fanno rispettare, e alla fine non hanno né l’amore e neanche il rispetto. Tanti fanno questo per ‘pigrizia’, oincapacità’, o anche per tutte e due le cose insieme. E’ molto facile arrivare a casa dal lavoro e andare a vedere in pace la tv, lasciando il bambino col cellulare in mano o davanti al computer. In questo modo esponiamo nostro figlio a rischi che possono causare tante brutte conseguenze.

    Ho vissuto con mia mamma e con i miei nonni materni. Quando avevo sei anni mia mamma divorziò da mio papà; era il 1977, e in quel periodo essere figli di un genitore divorziato era come avere una grave malattia: gli altri bambini non giocavano con me, mi trattavano come se fossi il figlio di una prostituta. Mio nonno mi fece da papà;  per me lui era molto importante. La cosa più importante che ho imparato è stata CHI NON VIVE PER SERVIRE, NON SERVE A VIVERE. Mio nonno mi ha insegnato grandi valori; è morto a 94 anni fiducioso del fatto che fossi un bravo cattolico perché, se gli avessi detto che ero spiritista, sarebbe forse morto prima. Le persone gli dicevano che ero spiritista e che tenevo anche conferenze, e io dicevo di no e che la gente era cattiva, ma adesso va tutto bene, lui mi ha capito ed è sempre con me alle conferenze. Mio nonno ha avuto il morbo di Alzheimer, e nello stesso periodo mia mamma ha avuto il lupus, così non poteva prendersi cura di lui, ed io decisi di portarlo a casa mia. Abbiamo passato tanti momenti insieme, sia divertenti che tragici. Una volta è venuto a casa nostra un cugino e, mentre loro erano in salotto a chiacchierare, io ero nel mio piccolo ufficio di casa mia; questo mio cugino gli ha chiesto se noi ci prendevamo cura di lui, e lui, non vedendomi, rispose: “Le persone qui sono molto cattive, io soffro tanto: per farti capire ti dico solo che dormo in giardino, non mi fanno mangiare né carne né verdure, solo una pappetta senza gusto, e a fine giornata faccio la doccia con un tubo”. Sentito questo, mio cugino venne da me arrabbiato, gridando. Io gli dissi di calmarsi, che gli avrei spiegato. A casa mia ci sono porte-finestre grandi quasi tutta la parete, quindi il nonno crede di essere all’aperto; in bocca ha delle protesi dentarie e, con l’Alzheimer, diventa difficile mangiare, quindi devo frullare tutto, e lui in verità mangia passato di verdura e carne, ma non lo capisce; per lavarsi non sa che uso il tubo della doccia che si allunga dalla base. Dopo la spiegazione, mio cugino ha capito. Aggiungo che mio nonno ha dovuto usare anche il pannolino, e io l’ho sempre cambiato, pulito e curato sia in bagno che a letto. Avete mai fatto questo ad un parente? Allora vi faccio una domanda scioccante: I VOSTRI FIGLI FARANNO QUESTO PER VOI? Quello che è successo è che questi genitori hanno generato in noi un sentimento di gratitudine che restituiamo con cure minime rispetto a quelle necessarie per curare un bambino. E i figli che stiamo educando avranno per noi lo stesso affetto e zelo? I nostri genitori facevano tutto così bene, noi invece abbiamo perso la formula e il modello che ha funzionato per loro. Immaginiamo che la famiglia patriarcale, in cui si ottenevano amore e rispetto con autorità, sia una tesi, e che la famiglia moderna, opposta a quel modello, sia la sua antitesi: quindi, ora cosa possiamo fare? Non possiamo tornare indietro, quindi dobbiamo costruire una famiglia-sintesi.

    Sentiamo sempre dire la frase: “Questa generazione è perduta!” Si tratta di una grande bugia: anch’io negli anni ‘80, seduto sul divano a guardare il film “Thriller” di Michael Jackson, mi sono sentito dire da mio nonno che la mia generazione era perduta, ma la nostra generazione è riuscita invece a dare una risposta. Tutte le generazioni sono riuscite a dare una risposta. Ma questa risposta può essere data se la generazione precedente ha fatto scelte giuste, affinché la nuova generazione trovi la maturità di farle.

    Tutto mi è consentito, ma non tutto mi si addice. E chi mi dirà cosa non mi si addice? La vita o i miei genitori? I genitori devono dirlo ai bambini, loro non hanno la maturità per fare delle scelte. Quando fai vedere a tuo figlio quello che si può fare e quello che non si può fare, quello che è giusto e quello che non è giusto, gli stai insegnando l’autonomia: potrà uscire solo, potrà andare da un amico, al cinema con gli amici, ma con una sorveglianza costante, perché educare oggi è molto più impegnativo di prima. Il tempo che scorreva in passato era molto più lento e diverso da oggi. Oggi scorre veloce: quante volte diciamo con arroganza che nostro figlio è a casa a vedere la tv a pagamento con 50 canali speciali (in cui c’è tantissima pubblicità che dice COMPRA COMPRA COMPRA). Sta crescendo una generazione consumista e vuota di pensieri, associata ad una modernità digitale. Cosa è la modernità digitale? E’ arrivare al ristorante con tutta la famiglia, non riunita perché ognuno ha in mano il proprio cellulare, ogni tanto qualcuno gira il cellulare e fa vedere qualcosa agli altri. Guardano video, fanno selfie, e il dialogo fra le persone si perde, creando una rottura nella famiglia e un aumento dell’egoismo: siamo dentro ma siamo fuori, siamo in famiglia ma non siamo in famiglia.

    La famiglia esige investimento da parte di tutti per costruire armonia dentro casa, per migliorare, imparare e servire. C’è una cosa che si chiama REINTEGRAZIONE DEL POSSESSO AFFETTIVO. Significa che devi riprendere la famiglia che hai perso, devi ricompattarla, devi riportarla a casa. Meglio stare insieme, anche facendo la guerra, perché alla base c’è comunque l’amore. Sentire da Dio la domanda: “Cosa hai fatto con il talento che ti ho dato?” è dura se si deve dare una brutta risposta. Per gli spiritisti che sanno che la vita non finisce qui e che la responsabilità di essere genitori non finisce qui, il sentimento di colpa sarà terribile, un aborto effettivo, il che significa che hai avuto un figlio ma non ti sei preso cura di lui. I figli esigono norme. Mia mamma diceva sempre di togliere l’asciugamano bagnato dal letto, sempre, tutti giorni, così una volta le chiesi se non fosse stanca di dire sempre la stessa cosa, e lei mi rispose che era molto, molto stanca, ma che avrebbe continuato a ripeterlo fin quando non avessi imparato. Poi ho iniziato a viaggiare tanto in aereo e, da psicologo, mi piaceva guardare il comportamento umano. Durante il volo capivo chi stava volando per la prima volta, perché fotografava tutto, anche le ali dell’aereo. Quando la hostess inizia a parlare prima del decollo, e ci dà le istruzioni di salvataggio, non tutti sono attenti: ci sono alcune persone con il cellulare ancora accesso, altre che pensano che l’aereo possa cadere e rimangono a bocca aperta senza capire niente, altre ancora che hanno paura e hanno preso medicine per dormire, alcune leggono e poche sono concentrate sulla spiegazione. La hostess dice: “In caso di necessità, il pannello che contiene le maschere con l’ossigeno si aprirà automaticamente. Prendete una maschera ed attivatela, tirando l’elastico energicamente verso di voi. Coprite naso e bocca e respirate normalmente. Solo dopo averla indossata, aiutate coloro che hanno bisogno di assistenza. Gli assistenti di volo vi stanno mostrando l’ubicazione delle uscite di emergenza: individuate quelle più vicine a voi. Un percorso illuminato vi aiuterà nella loro individuazione. Eccetera”. Perché queste cose vengono dette sempre, ad ogni volo? L’obiettivo è ripetere fino all’esaurimento la regola. Se per caso capitasse che l’aereo perdesse il controllo e cadesse da una certa altitudine dove la temperatura media esterna è di cinquanta gradi sotto zero, dove manca l’ossigeno, cosa potremmo fare? Se non si è prestato attenzione alle regole spiegate dalla hostess, si va in panico senza saper gestire la situazione, così come quando i genitori mettono le maschere con l’ossigeno ai figli e muoiono perché sono senza ossigeno, lasciando i loro figli orfani. Per questo bisogna ripetere sempre.

    La regola è: controllate il cellulare dei vostri figli. Il genitore deve avere accesso a tutto quello che i figli vedono, alla loro rete sociale, deve controllare il guardaroba, controllare i cassetti perché, se non controlli o se ci metti troppo tempo a cercare, potresti trovare delle brutte sorprese, perché il MONDO non è più buono. Se in passato le mamme ringraziavano Dio quando i figli arrivavano a casa, vi dico che stare a casa chiusi in camera da letto, navigando in internet, è molto più pericoloso che uscire, perché i pericoli sono miliardi, e ci sono migliaia di persone che vogliono fare del male.

    Sono andato a casa di un amico per cena e, quando sono arrivato, dopo aver salutato tutti, sono andato in camera da letto, dove c’era suo figlio di tredici anni. Il ragazzino stava guardando al computer un film porno. Quando mi ha visto entrare è diventato tutto bianco per lo spavento. Subito dopo, dietro di me arrivò il mio amico, e il figlio cambiò pagina, aprendo il portale della Giornata della Gioventù del Vaticano. Il mio amico, orgoglioso, mi disse che suo figlio restava tutte le sera in camera da letto a leggere testi della Chiesa. Io a quel punto ho guardato il ragazzo e gli ho detto di cambiare pagina. Lui, disperato, disse di no, ma io riuscii a cambiarla, e così il padre vide realmente quello che il figlio stava guardando. Il padre, spaventato, chiese spiegazioni al figlio (che era diventato rosso per la vergogna). Risposi subito io, dicendo che a quella età c’è tutta la voglia di scoperta, e che avrebbe dovuto essere lui come genitore a dare consigli, a spiegare certe cose e a dare il giusto orientamento. A quell’età anche noi non ci dedicavamo alla Chiesa tutti giorni chiusi in camera!

    Certo che questa generazione non è sottomessa come lo siamo stati noi. I giovani di oggi vogliono potere, vogliono libertà, vogliono voce in capitolo, vogliono spazio, perché loro sono nati per fare quello che non abbiamo fatto noi. Loro sono più intelligenti e colti, sono più capaci, diciamo che è come se noi fossimo un Windows 5.0 e loro un Apple, ma sono sempre figli, e come tali hanno bisogno di regole, orientamento e comando. Noi diamo ai nostri figli quello che noi non abbiamo mai nemmeno pensato di avere, e sbagliamo, perché facciamo perdere il valore alle cose. Ciò che è facile ha meno valore. Una volta ero con un mio amico in spiaggia, e mi chiese se potevo accompagnarlo in aeroporto a prendere i suoi figli che arrivavano da Disneyland (USA). Io sinceramente non avevo la minima voglia di andare, ma vedere il mio amico così emozionato all’idea di rivedere i figli, sicuro del fatto che gli sarebbero stati molto grati per avergli fatto fare quel viaggio, mi convinse ad andare con lui. Decisi di andare più che altro per carità divina, perché capii che il mio amico avrebbe avuto bisogno di aiuto psicologico. Lui diceva che i figli gli sarebbero stati molto grati, e io dentro di me pensavo: “Oh, mio Dio, fa’ che sia proprio così”. Arrivati all’aeroporto, ci vennero incontro tre adolescenti rispettivamente di quindici, sedici e diciassette anni, con le facce di ‘m….’, ognuno con due valigie da 32kg, con il Mickey Mouse al collo (un classico per chi va a Disneyland per la prima volta). Il mio amico, tutto pieno di gioia, li abbracciò, li baciò e chiese come fosse andata la vacanza. La loro risposta fu: “Mah, sì, normale papà”. Il mio amico replicò: “Ma come normale, siete andati ai parchi e al cinema?!” E nuovamente loro scocciati: “Sì, papà, siamo andati ai parchi, alla Universal, al cinema, abbiamo visto Mickey e Minnie, siamo andati all’outlet e…… Basta”. Il mio amico chiese: “Cosa mi avete portato?” Dapprima i tre si guardarono, poi, dopo aver fatto una mezza risata, gli chiesero che cosa avrebbero dovuto portargli. Il padre disse che oltretutto era il suo compleanno. Sai quando hai vergogna della vergogna che l’altro sta provando?! Ero così, mi chiedevo cosa stessi lì a fare, ero così imbarazzato nel vedere il mio amico subire quella situazione… Entrammo in macchina e c’era un gran silenzio. Ad un certo punto il più grande chiese al mio amico in quale spiaggia avesse preso la casa, e il padre, nervoso, disse il nome della spiaggia, dicendo che era una spiaggia molto semplice. Il figlio, gridando, gli disse che era uno scemo, come poteva portarli in quella spiaggia, dopo aver fatto più di dodici ore in aereo… erano stanchi, e i loro amici li stavano aspettando in un’altra spiaggia. Il mio amico iniziò a dire quello che tutti i genitori dicono: “Io non ho mai avuto niente di tutto questo, non sapete cosa ho passato alla vostra età”. Subito i ragazzi, infastiditi dalle parole del padre, gli dissero di non iniziare con quel discorso che sapevano a memoria, e che non erano colpevoli del suo passato. A quel punto il mio amico mi guardò e mi chiese cosa fare. Io ho un grande problema: quando mi chiedono queste cose, come psicologo mi sento obbligato a dire la verità, ma non è sempre bello sentire la verità. Così glielo chiesi: “Ma sei sicuro che vuoi che ti dica cosa penso?” E lui: “Ma certo, io non so più cosa fare con questi ragazzi”. E io: “Se tu avessi fatto la stessa cosa che ti hanno fatto i tuoi figli negli ultimi trenta minuti, verso tuo papà, cosa sarebbe successo?” E lui: “Non avrei più avuto neanche un dente in bocca”. E io: “E tu senti odio nei confronti dei tuoi genitori?” “No, assolutamente”. “Quello che sta succedendo oggi è che tu stai ha perdendo il ruolo di padre, sei diventato amico dei tuoi figli, ed è la più grande stupidaggine che tu possa fare. La madre e il padre devono mantenere la posizione unica ed esclusiva di genitori. Prendere la posizione più comune e piccola di amico è infantile, tu puoi anche avere una relazione più stretta con tuo figlio, ma dovrai sempre stare nella posizione di padre. Tu hai bisogno di recuperare il tuo ruolo di padre. Il mio amico fermò la macchina, batté la mano sul cruscotto e si girò verso i figli, gridando: “Adesso niente spiaggia, andiamo a casa, non ci sono più vacanze e le valigie sono sequestrate: non mi avete portato niente, e allora non c’è più niente per nessuno!” Uno dei figli provò a dire qualcosa e lui gridò ancora “STAI ZITTO!” Io mi sono esaltato, ho reso gloria a Dio, ero felice, ma non ho fatto vedere la mia gioia. Finalmente un padre torna al posto di padre e si riprende la sua autorità. Le valigie furono chiuse per tre mesi, e il padre iniziò a recuperare l’autorità che aveva perso. Il mio amico aveva capito che non aveva qualche colpa per il fatto che andava a lavorare, perché nell’educazione di un figlio non importa la quantità di tempo che si passa con lui, ma la qualità di quel tempo. Conosco persone che passano due settimane fuori casa, ma appena hanno un po’ di tempo stanno con i figli e chiedono loro della loro vita. Ci sono genitori, invece, che sono dentro casa tutto il giorno, e non sono presenti, perché pensano egoisticamente solo a loro stessi, stanno a guardare la tv, le cose che piacciono loro, pensano a riposare, non vogliono sentir baccano, lasciano i figli soli a farsi gli affari loro, come se fossero capaci di crescere da soli, senza l’esempio di nessuno. L’ESEMPIO E’ L’UNICA FORMA DI EDUCAZIONE, non c’è un altro modo di educare che non sia l’esempio. C’è bisogno che noi genitori siamo per i nostri figli un modello da seguire. È fondamentale che l’autorità dei genitori sia in famiglia. Il nostro modello di perfezione si chiama Gesù, il nostro obiettivo è che anche noi dobbiamo essere da esempio per le altre persone, dobbiamo essere ‘luce del mondo’ e ‘sale della terra’. Essere ‘sale della terra’ non significa corrompere il mondo, la tua famiglia e la società in cui vivi, ma capire quanto Dio si aspetta da noi nel processo di procreazione, e bisogna collaborare tra noi. Capita spesso che tante mamme divorziate o separate vengano da me, preoccupate perché loro per tutta la settimana devono dire cosa fare e cosa non fare. Tante volte litigano coi figli: è difficile per loro gestire la settimana da sole, tra lavoro, casa e figli. Poi, nei fine settimana arrivano i papà, prendono i figli, li portano in giro, e intanto le mamme hanno paura di perdere il loro amore. No, vi sbagliate, i figli vi amano. Se sono con il padre e cadono, si fanno male o soffrono per qualcosa, tranquille perché sapete chi chiameranno? La mamma. Perché la mamma ha il potere ‘della guarigione’, è la mamma che si prende cura di loro. Loro conoscono il ruolo del papà. È un po’ come la maestra severa, che ci insegna tante cose, che trascorre tutta la lezione a spiegare senza respirare, senza mai fare battute, e come la maestra buona, che ci lascia fare, che finisce prima la lezione per chiacchierare. Ma alla fine, quando bisognerà sostenere l’esame di maturità, in quale materia avremo bisogno di ripetizione? In quella della maestra che ci ha insegnato tutto ciò che poteva senza battute o in quella della maestra che ci ha fatto chiacchierare tanto e ci ha insegnato poco? Chi dovremo ringraziare? È molto seria la situazione. Le nostre relazioni sono molto importanti per la nostra vita: siamo qua per aiutarci reciprocamente, siamo qua per fare la differenza. Dobbiamo essere più solidali e fraterni tra noi. E quando chiedo a mia moglie di aiutarmi perché ho bisogno di lei, devo sapere che lei potrà chiedere lo stesso a me. Accantonare le nostre esigenze per dare aiuto e ascolto agli altri. E capire che non solo io ho ragione, che non solo io posso fare quello che voglio, e capire che oggi le persone e, soprattutto, i bambini, sono più intelligenti e svegli. Quanti bimbi oggi nascono già con dei talenti bellissimi?! Ma questo non significa che siano già pronti.

    Abbiamo tutti bisogno del Vangelo, dobbiamo tutti parlare di Gesù, TUTTI.

    Una cosa che mi rende molto triste è vedere la quantità di genitori che non portano i figli in chiesa, alle riunioni spiritiste o ai corsi di educazione religiosa per bambini e adolescenti. E la scusa è ridicola: dicono che non li vogliono forzare. E se facessimo lo stesso discorso per la scuola, lo studio, il mangiare, il crescere… È il genitore che deve fare delle scelte, principalmente nei primi anni di vita dei figli. Un sondaggio realizzato da alcuni scienziati in ventidue paesi tra studenti di Medicina e Psicologia, ha cercato di capire cosa porti un ragazzo di vent’anni a voler provare le droghe e ad avere relazioni sessuali esagerate. Hanno scoperto che non è una questione di razza, né di sesso (maschio o femmina), né di cultura o intelligenza, né ancora di condizione economica o di religione (cattolico, mussulmano, spiritualista). Seguendo la logica utilizzata da alcuni schemi psicologici, hanno scoperto che tutti quelli che non avevano vizi avevano una caratteristica in comune: da piccoli (secondo i loro calcoli a sei anni) praticavano la religione con i propri genitori. Ciò che attirava l’attenzione di ricercatori e di scienziati materialisti, era la possibilità di come un evento successo all’età di sei anni potesse aiutare a resistere alle tentazioni a vent’anni.

    Sono andato a tenere una conferenza sull’evangelizzazione infantile. Dico sempre che noi genitori dobbiamo portare i nostri figli in chiesa o nei centri religiosi, che loro devono capire e parlare di Dio, devono andarci anche se non vogliono e senza essere premiati quando ci vanno. Dobbiamo offrire adesso Dio ai nostri piccoli, è questo il momento in cui tutti i migliori valori devono essere impiantati nella loro mente e nel loro cuore. Ne Il Libro degli Spiriti, Kardec fa una domanda importantissima sul perché, nella reincarnazione, lo spirito debba passare per l’infanzia.

    Cosa è la crisi? Paolo, Lettera ai Romani, capitolo 7 versetto 22: “Quando voglio fare il bene, il male è con me”. Perché amo Dio, ma ho anche voglia di commettere dei peccati, perché conosco ciò che è giusto, ma a volte faccio ciò che è sbagliato. La crisi arriva quando un soggetto sa cosa sia la legge e cosa sia l’istinto, ciò che vuole Dio e ciò che vuole lui. Queste cose creano una disarmonia, e quando capiamo che quello che Dio vuole per noi è molto meglio di quello che vogliamo noi, le cose iniziano a fluire.  Quando porti tuo figlio in chiesa, gli offri VALORI E DIO. Tuo figlio passa tutta la settimana sentendo canzoni che… Lasciamo perdere… Vedendo in tv programmi che… Lasciamo perdere… Imparando valori da amici che… Lasciamo perdere… E tu hai l’opportunità, senza prezzo, per un’ora, una volta alla settimana, di permettere a tuo figlio di imparare delle verità su Dio e sui valori, e per pigrizia non lo accompagni. Perché la domenica mattina è meglio stare in casa a far nulla, senza pensare al futuro e a cosa la mancanza di Dio farà nella vita di tuo figlio. C’è una frase molto intensa di Paolo che dice: “Tutto posso in Colui che mi dà forza”. E tutti pensano, sbagliando, che si tratti di denaro, ma, leggendo l’intero contesto, si capisce che non è così. “Fratelli, imparate a vivere con tanto e a vivere con poco, in abbondanza e in scarsità, perché tutto posso in Colui che mi dà forza”. Se pensi che la miglior maniera di garantire il futuro dei tuoi figli sia lasciando a loro dei beni materiali ti sbagli, perché, senza avere competenza e giudizio, perderanno tutto. Quante volte è capitato che i figli si siano ritrovati a dover vendere tutto ciò che avevano ereditato perché non avevano più un soldo. Devi dare dei VALORI ai tuoi figli, perché con dei valori loro sapranno vivere nell’abbondanza e nella scarsità.

    Una mamma che partecipava alla conferenza è venuta da me e mi ha detto: “Lei, questa mattina, ha detto che dobbiamo portare i figli, anche a costo di obbligarli, all’evangelizzazione, e io ho passato tutta la mia vita a portare mio figlio, obbligandolo, all’evangelizzazione, e ho sempre pensato di aver sbagliato. E oggi, dopo che mi ha detto questo, l’ho chiamato. Vorrei darti questa testimonianza della sua vita. Quando è nato vedevo che era diverso, ma fu quando compì sette anni che capii che lo era davvero. Eravamo in casa a guardare una gara di ballo in tv, e lui affermò che la ragazza non vinceva perché non muoveva sufficientemente il sedere, e il giudice di gara, poco dopo, disse la stessa cosa, e io trovai questo molto singolare. Quando aveva dodici anni mi disse: “Mamma ti amo, ma ti odio pure, e vorrei ucciderti”. E io: “Mah, figlio mio, perché?” E lui: “Perché io voglio fare tante cose, e so che tu non me le farai fare finché dipenderò da te”, e io risposi: “Sì, figlio mio, è vero!” Oggi questa mia figlia vive in Spagna (io ho pensato: “Ma non era un figlio?”), è diventato un travestito. E quando l’ho chiamato, ho detto: “Figlio, la mamma ti ha portato per tanti anni all’evangelizzazione, obbligandoti, ricordi?! E oggi ho sentito una persona che ha detto che era giusto che io ti portassi, e quindi ti volevo chiedere se secondo te ho fatto bene”. E lei ha risposto: “Mamma, io non faccio la vita che hai sognato per me, lo so, faccio la vita che ho voluto io, e devo pagare per questo. Ma tutto il male che non faccio, perché sono molto determinata, non lo faccio per tutto quello che ho sentito nell’evangelizzazione. Tutte le volte che penso di uccidere qualcuno, mi ricordo degli inferi dove ci sono dolore e stridore di denti (mi ricordo di André Luiz nell’umbrale), così mi passa la voglia. Puoi star sicura di essere una vincitrice perché, se non sono una persona peggiore, è grazie al tuo amore”.

    Ho trovato questa testimonianza molto importante, ed ho chiesto di poterne parlare nelle mie conferenze. Perché tante volte non riesci a fare di tuo figlio un angelo ma, perlomeno, riesci ad inibire il potenziale di cattiveria istintiva che ha dentro di sé, e può maturare. Volevo concludere parlando di un Salmo molto bello, che dà un’indicazione chiara del ruolo del genitore e di quanto avere un limite rappresenti una prova d’amore. David attraversava un grande dolore, era in guerra con se stesso, e desiderava una relazione più intima con Dio, e così iniziò a pensare al rapporto che aveva con Dio. Un giorno sognò di vivere in campagna: “Tutti i giorni mi sveglio e porto le mie pecore sui pascoli erbosi, e dopo il sole caldo della Giudea, le porto ad abbeverarsi, e tante volte, per tornare a casa, lontano da dove siamo, per abbreviare la strada scelgo un cammino molto pericoloso, in mezzo alle montagne, dove la luce è presente solo a mezzogiorno e, purtroppo, spesso i ladri si mettono lì ad aspettare un pastore che passa per rubargli le pecore e ucciderlo. Questa valle è chiamata la ‘valle oscura della morte’. E anche David, per far fare meno fatica alle pecore, passava per quella valle. A questo punto David comprende: “DIO E’ IL MIO PASTORE” e, come faccio io con le mie pecore, anche Lui non mancherà con me, mi porterà a pascoli erbosi e mi farà riposare in acque tranquille, e anche se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché Lui è con me”. Guardate come è bello questo Salmo, perché dopo dice: “Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”. E come possono un bastone e un vincastro dare sicurezza? Per un pastore il bastone è ciò su cui si appoggia, e nell’altra mano tiene il vincastro, e quando una pecora si dirige in direzione di un precipizio, il pastore fa quello che Gesù ha detto: “Se un’unica pecora si perde, il buon pastore lascia tutte le altre e va’ a prendere quella smarrita”. E il pastore, quando arriva vicino alla pecora più vicina al precipizio, prende il bastone e il vincastro e la prende con forza, e la pecora si sente violentata. Immagina tuo figlio che rischia una scossa su una presa di corrente: tu cosa fai, vai con delicatezza a dire che non si può fare chiedendo per favore di togliere la mano?? No, gli prendi velocemente la mano e lo sgridi anche se lui piangerà, perché si sentirà offeso dalla tua reazione, in quel momento violenta. Ma la verità è che lo hai salvato! La disciplina e il senso del limite salvano il figli. Il bastone è il simbolo di disciplina di un genitore che sa che ci sono dei momenti in cui c’è bisogno di usare la forza per far tornare il proprio figlio sulla strada giusta. Quando finisce questa vita, che tu possa, come madre o come padre, scrivere una lettera così come ha fatto Paolo a Timoteo: “Ho fatto la mia carriera e ho mantenuto la fede. Ora restituisco a Te, Padre, il talento che mi hai dato. L’ho moltiplicato nella bontà, nella dignità e nel successo”.

    Pace a tutti voi.

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